Ripartono gli incontri e le mostre organizzati da Witness Journal in collaborazione con QR Photogallery, Arci Bologna, IGOR Libreria, Senape Vivaio Urbano.
Occasione di confronto e dibattito sull’informazione, sul reportage e la narrazione per immagini, per arricchire l’offerta culturale rivolta ai soci, ai lettori di WJ e a tutti gli appassionati di fotografia sociale.
Crediamo nell’importanza di una cultura fotografica che sappia raccontare il mondo in cui viviamo con estro creativo e professionalità, nel valore di progetti indipendenti e nella condivisione delle esperienze di documentazione di tutte e tutti.
La partecipazione agli incontri è gratuita.
Giovedì 14 Novembre
Presso Senape Vivaio Urbano/ IGOR Libreria
Dalle ore 19.30
Incontro con Simone Zarotti
Mostra: Nunca Más
Simone si racconta:
“Sono Simone Zarotti ho iniziato ad appassionarmi alla fotografia nel 2010, facendo il mio primo corso sulla tecnica fotografica in generale. Da subito ho capito che non mi sarebbe bastato e la voglia di saperne di più, mi ha portato nel 2011 a seguire un secondo corso a Parma, organizzato dall’associazione Le Giraffe con i docenti Giulio Nori (presidente dell’associazione) e Marco Cavallini (fotografo di viaggio).
Successivamente il mio desiderio di crescita, mi ha fatto conoscere il fotografo freelance Giulio Di Meo, ho partecipato a due corsi tenuti da lui, ed è stato Giulio stesso ad iniziarmi alla fotografia di reportage.
“REPORTAGE” è una parola francese che significa “RIPORTARE” nel senso di raccontare, ho imparato a tradurre una storia in immagini, partendo dallo studio di questa nei minimi particolari, ascoltandone i protagonisti col massimo rispetto, senza essere invadente.
Nel gennaio 2012 ho partecipato ad un corso specifico sulla gestione e lo sviluppo delle immagini, tenuto dal fotografo Alfonso Prous.
Questo corso è stato per me fondamentale, in quanto una corretta catalogazione e uno sviluppo adeguato delle immagini, mi hanno permesso di ottimizzare i tempi in fase di post-produzione. All’inizio del 2013 mi sono messo subito al lavoro e dopo mesi di ricerche ho realizzato due lavori : uno sulla Clown terapia e l’altro relativo ad un’ associazione di volontariato chiamata “Ciao ci vediamo domani” la quale offre attività di tempo libero per disabili giovani/adulti.
Il desiderio di viaggiare e la voglia di raccontare attraverso le immagini mi hanno spinto a fine 2013 ad intraprendere un viaggio fotografico in Turchia a Istanbul sotto la guida del fotografo Beniamino Pisati. E’ stata una bellissima esperienza che mi ha “arricchito” e grazie alla quale sono riuscito a capire come sviluppare un racconto fotografico di viaggio.
All’inizio del 2014 ancora con Giulio di Meo ho partecipato tramite l’ ARCS (Culture Solidali) ad un interessante progetto fotografico a Cuba, un racconto fotografico sulla periferia del’ Havana – Santa Fe.
Nello stesso anno, dopo qualche mese ho avuto le mie prime esperienze con la fotografia di matrimonio, da li capii subito quanta passione e dedizione mettevo nel narrare con le immagini una giornata così importante e piena di emozioni.
Ad oggi, dopo qualche anno di esperienza, sono diventato un fotografo matrimonialista, credo molto nell’aspetto umano, tengo tantissimo a conoscere i “miei” sposi personalmente per poter instaurare con loro un rapporto di complicità; credo proprio che questo aspetto emerga dal risultato finale di ogni lavoro che ho realizzato.
Continuo inoltre a portare avanti i miei progetti personali cercando storie da proporre e riportare con la mia macchina fotografica e non solo; nel 2015 mi sono occupato dell’intera post-produzione del libro “ Il deserto intorno” di Giulio di Meo.
Quando ho cominciato non sapevo bene cosa significasse fotografare, ma allora come adesso rimango affascinato di fronte ad una bella immagine.
Questa passione è nata inaspettatamente e mi piace pensare che sia stata lei a scegliere me”-
La Mostra:
NUNCA MÁS
Strano paese l’Argentina, una nazione di 42 milioni di abitanti disseminati in uno spazio grande 10 volte l’Italia, una terra ricca ove pascolano 50 milioni di bovini, 8 milioni di pecore, quarto produttore mondiale di soia, ricca di petrolio nei silenzi della Patagonia e di acqua nella frontiera con Brasile e Paraguay (le cascate di Iguazu, il più grande bacino acquifero del mondo).
Un paese ricco dove a cavallo tra la fine del ‘900 e l’inizio del 2000 la mortalità infantile nelle provincie del nord, Tucuman e Jujuy, era a livello dei paesi africani più poveri.
La causa di queste contraddizioni inaccettabili è legata alle scelte politico/economiche che da sempre hanno garantito i grandi allevatori e i possidenti terrieri, generando ricchezze inestimabili a fronte di grandi povertà. Una scelta che la sanguinosa dittatura civico/ militare/clericale ha acuito con il golpe che il 24 marzo del 1976 ha determinato l’inizio dell’esperimento neoliberista, responsabile di 30.000 desaparecidos, di quasi un milione di esuli, di innumerevoli detenzioni e violazioni dei diritti umani.
Restaurata la democrazia nel 1983 non è comunque cambiata la linea politica/economica con i due mandati del governo Menem: privatizzazioni selvagge, svendita dell’economia alle multinazionali straniere, cancellazione delle leggi che tutelano i lavoratori, debiti spaventosi e inumani con le istituzioni finanziarie, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario, gli avvoltoi dei popoli.
Il dicembre del 2000 ha segnato la svolta: in maniera spontanea milioni di persone hanno riempito le strade percuotendo le pentole, il famoso “cacerolazo”, significando che erano vuote per la povertà che affliggeva il paese. La repressione non si è fatta attendere: dichiarazione dello stato d’assedio, cariche della polizia, morti e feriti.
La popolazione, esasperata, non ha ceduto, e ha costretto alla fuga il presidente De La Rua.
Poi, non fidandosi più delle istituzioni, sindacati compresi, si è autorganizzata, diventando uno dei cantieri di laboratori sociali più interessanti del mondo. Un grande fermento sociale si è impadronito degli argentini attraverso pratiche di partecipazione, di reciprocità, di solidarietà, di attenzione agli ultimi che hanno avuto un triplice effetto.
Da un lato hanno permesso un reale miglioramento economico (penso alle oltre 300 fabbriche recuperate ed autogestite dai lavoratori, ai piqueteros, alle cooperative di cartoneros), dall’altro hanno permesso di lavorare sui diritti civili e sociali (le mense popolari, le assemblee di quartiere), insomma un magma creativo che ha permesso la svolta nel 2003 verso il primo governo Kirchner, che avrebbe finalmente annullato le leggi che proteggevano i responsabili, militari in gran parte, ma anche imprenditori e alti prelati, dei 300 campi clandestini, lager in cui si torturava, violentava, uccideva.
Una parabola che dopo anni di crescita economica e civile ha nuovamente virato verso la destra con l’elezione di Macri a presidente e il ripristino del neoliberismo selvaggio.
Come Arci/Arcs abbiamo deciso di recarci in Argentina a vedere e documentare cosa è restato di quel meraviglioso fermento: nel marzo del 2019 abbiamo visitato l’Esma, il campo clandestino più grande del paese, incontrandone le atrocità, ma anche la generosa testimonianza dei pochi sopravvissuti a quella mattanza che ha causato circa 5000 assassinati dopo violenze, stupri, torture, furti dei neonati delle prigioniere che partorivano in cattività per essere poi uccise e i loro figli , con falsi certificati di nascita, dati ai militari e ai loro complici.
Abbiamo conosciuto la lotta per il recupero dell’identità di questi ragazzi, fatto dalle Abuelas de Plaza de Mayo. Nel Parco della Memoria, nato per volontà di Vera Vigevani Jarach, Madre de plaza de Maso, Linea Fundadora, abbiamo abbracciato Vichi Donda, giovane deputata che è una nipote recuperata e restituita alla sua vera identità.
Ci siamo commossi con le Madri de Plaza de Mayo, che nella ricerca dei loro figli desaparecidos dal 30 aprile del 1977 sfilano in piazza ogni giovedì alle 15.30 cercando memoria, verità e giustizia, e abbiamo camminato insieme a loro.
Abbiamo incontrato Radio La Colifata, radioweb che trasmette dall’interno del Borda, il grande manicomio maschile. Nel quartiere di Barracas abbiamo assistito ad uno spettacolo di teatro comunitario, un modo per stringere rapporti attraverso l’arte, recuperando le radici delle comunità italiane e russe che erano arrivate nei primi anni del ‘900 in quel quartiere.
Poi abbiamo lasciato la splendida città di Buenos Aires per andare a Rosario, sulle sponde dell’immenso fiume Paranà. Lì abbiamo incontrato Ramiro Guevara, il fratello del Che, visitando il museo dedicato al guerrillero eroico che era nato proprio a Rosario.
Poi con Eduardo Spiaggi, docente di agroecologia all’università di agraria di Rosario abbiamo conosciuto i coltivatori che si ribellano alle pratiche della soia transgenica e dei pesticidi che stanno devastando il paese.
Una esperienza toccante, dove abbiamo incontrato Taty Almeida, Nora Cortinas e Mirta Baravalle, tre meravigliose Madri de plaza de Mayo, Linea Fundadora, che ringraziamo e abbracciamo.
Florencia Santucho, che organizza il festival del cinema di Buenos Aires sui diritti umani è stata la nostra guida preziosa.
Amerigo Gadben e Patricia Merkin ci hanno mostrato nel quartiere di San Telmo il loro emporio a chilometro zero, una novità per una nazione fortemente carnivora.
I lavoratori del Bauen, enorme albergo recuperato ed autogestito ci hanno aperte le porte dell’albergo stesso e del loro cuore accompagnandoci e raccontandoci la loro storia e i loro sogni.
La grande manifestazione del 24 marzo per ricordare i crimini del golpe militare del 1976 ci ha visti una intera giornata sfilare per le vie di Buenos Aires insieme a due milioni di persone.
Siamo tornati colmi di emozioni, sperando che le nostre fotografie sappiano raccontarvi qualcosa di quel mondo.
Ugo Zamburru